16 Marzo – Pushkar
Tappa devastante oggi, condizionata anche da mille e uno piccoli contrattempi che hanno fatto sì che questa risultasse davvero una delle peggiori faticate fino ad ora compiute. Di prima mattina accusiamo entrambi qualche sospetto dolorino di pancia: forse la spremuta bevuta ieri sera? Decidiamo di non farci condizionare e montiamo in sella ma… sorpresa, il Gps non funziona! Non solo non rileva la posizione, ma non si connette proprio con il satellite. Partiamo lo stesso e come si faceva un tempo ci troviamo costretti a chiedere indicazioni a ogni incrocio, con notevole perdita di tempo e di pazienza, visto che due volte su tre le indicazioni sono contrastanti. Dopo tanto soffrire usciamo dalla città e ci dirigiamo verso la National Highway 8, che, visto che è un’autostrada, dovrebbe – dico dovrebbe – comportarsi come tale. La National Highway 8 è come una delle nostre provinciali, per di più funestata da un traffico pesante bestiale, e intanto, con il traffico, aumenta anche la temperatura, e in un batter d’occhio il tutto si trasforma in un inferno dominato dal calore, dai fumi di scarico, dalle mucche, dai clacson, dagli autobus e dalla catena di una delle moto, che decide di allentarsi e strappare proprio in mezzo a questo caos. Teniamo duro per un altro po’ di chilometri e troviamo un posto tranquillo, ci fermiamo, smontiamo tutte le borse, i bagagli, e gli zaini e iniziamo l’operazione di ritiraggio della catena. Ripartiamo ancora, e in una strada percorsa da un numero di camion pari al tratto appenninico della A1, dopo slalom furioso tra scimmie e strani maialetti pelosi, conquistiamo finalmente Pushkar. Alloggio trovato all’hotel Om (te pareva!), wi-fi di eccezionale velocità, doccia calda, coca gelata, e piano piano, dopo aver fatto l’elenco dei rispettivi dolori, ci sentiamo un po’ più umani.
ancora Pushkar
Pushkar è divisa praticamente in due: la via del bazar, lunga come tutta la città, dove trovi di tutto, dai tessuti alle droghe, dai frullati ai santoni, e i “ghat”, cioè le scalinate di accesso al lago. I “ghat” sono silenziosi, si sentono solo le preghiere indù, sono puliti, la gente non lascia rifiuti, sono sacri, ci si può camminare solo senza scarpe: sono l’antitesi del bazar. Siedi sulle gradinate e la pace ti riempie, il sole scende dietro le case, e il cielo si tinge di un bellissimo color arancio come le vesti degli Hare Krishna, che qui sono tantissimi. Sopra le teste pipistrelli enormi si cibano di miriadi d’insetti e in lontananza tamburi e campanelli. Un po’ stereotipata? Può darsi, ma è così per davvero, ed è così che la voglio ricordare, come uno stereotipo forse, ma speciale.